Analisi, ascolto e confronto per uscire dai bias e capire davvero chi c’è dall’altra parte. E come parlargli nel modo giusto.
Quando pensi di sapere, ma in realtà stai solo indovinando
C’è una frase che nelle aziende si sente spesso, ed è questa: “Noi i nostri clienti li conosciamo bene”. Eppure, ogni volta che ci capita di affiancare un team in un progetto digitale, nel momento in cui proviamo a mettere su carta (davvero) chi è il cliente tipo, si alza il silenzio.
Chi sono le persone dall’altra parte? Cosa fanno nella vita? Quali problemi cercano di risolvere quando usano il tuo prodotto o servizio? Dove si informano? Che parole usano per cercarti su Google? Quanti anni hanno? Qual è il loro livello digitale? Di cosa hanno paura?
Sono tutte domande che sembrano banali, ma che raramente ricevono risposte precise.
Il problema è che troppo spesso lavoriamo sull’intuizione. O peggio: sull’abitudine. Si creano strategie di comunicazione, funnel di vendita, software, servizi e persino nuovi brand sulla base di una conoscenza presunta, che viene da ciò che pensiamo di sapere, da esperienze personali o – ancora peggio – da ciò che “si è sempre fatto così”.
Ma i clienti cambiano. Cambiano le persone, cambiano i contesti, cambiano i mercati. L’unica cosa che non cambia mai è la nostra tendenza a vedere solo quello che vogliamo vedere.
Allora forse vale la pena fermarsi e ripartire da una domanda semplice ma potentissima: chi c’è davvero dall’altra parte?
Ascoltare è un atto strategico (non una gentilezza)
Quando iniziamo un nuovo progetto, la fase che chiamiamo “ascolto attivo” non è una formalità. È una delle cose più strategiche che possiamo fare. Perché dietro ogni esigenza espressa (spesso con mille dubbi o generalizzazioni) si nasconde un bisogno più profondo, più specifico, che va fatto emergere.
E no, non basta mandare un questionario.
Ascoltare significa creare uno spazio per il confronto. Mettere in campo strumenti diversi (interviste, sessioni di co-progettazione, analisi semantica, studi di comportamento utente, mappe dell’empatia) per disegnare ritratti realistici delle persone a cui ci rivolgiamo.
Ascoltare significa anche sfidare i propri preconcetti. Magari pensavamo che il nostro target ideale fossero i quarantenni manager, e invece scopriamo che il valore vero lo riconosce un’altra categoria, meno rumorosa, ma molto più fedele. Oppure che le persone usano il nostro prodotto o servizio in un modo che non avevamo previsto. O ancora, che la barriera non è il prezzo, ma la mancanza di fiducia.
Un caso reale? Un cliente ci ha chiesto un eCommerce per vendere online prodotti naturali. Pensava che il problema fosse il sito troppo vecchio. In realtà, abbiamo scoperto che il vero ostacolo era la mancanza di contenuti informativi. Le persone non acquistavano perché non capivano bene le differenze tra i prodotti. Abbiamo inserito microcopy, comparazioni, domande frequenti, schede semplificate. Il tasso di conversione è salito del 28% in due mesi.
Ascoltare, in fondo, significa accettare che i clienti non siano come li immaginiamo noi. Ma come sono davvero.
Serve empatia, ma anche metodo
Spesso ci si affida all’empatia: “Mi metto nei panni del cliente”. Ma se lo faccio senza dati, senza confronto, senza processo, rischio solo di mettermi nei miei panni, proiettando le mie abitudini sugli altri.
Conoscere i propri clienti oggi richiede un approccio integrato, che unisce dati qualitativi e quantitativi. E che si basa su quattro pilastri:
- Ascolto attivo: Interviste, focus group, co-design, customer service. Tutto quello che ci permette di sentire cosa dicono davvero.
- Analisi dei dati: Analytics, mappe di calore, search intent, flussi di navigazione, query interne. Per capire cosa fanno, dove cliccano, quando abbandonano.
- Segmentazione evoluta: Basta con “uomini/donne 25-45”. Lavoriamo per profili, abitudini, obiettivi, frustrazioni. Ogni segmento deve essere utile, non solo “statistico”.
- Test & iterazione: Le persone cambiano. Il mercato anche. Quindi ascoltare è un processo continuo. Testare significa imparare, non cercare conferme.
Conclusione: se non li conosci, non puoi aiutarli
Conoscere davvero i propri clienti è il primo passo per costruire relazioni autentiche. Per progettare soluzioni utili. Per scrivere contenuti che parlano davvero a chi li legge. Per fare marketing che non sembri marketing. Per vendere senza forzature.
In DEV4U, ogni volta che iniziamo un progetto, torniamo a questa base: capiamo chi c’è dall’altra parte. È lì che comincia tutto. Perché ogni software, ogni strategia, ogni sito o app… prima di essere uno strumento, è un dialogo.
E se non sai con chi stai parlando, il dialogo rischia di essere un monologo.
Alcune letture consigliate
Ecco alcune letture per chi vuole approfondire il tema della conoscenza del cliente e dell’ascolto attivo:
- “Creare modelli di business” di Alexander Osterwalder e Yves Pigneur (Edizioni FAG Milano). Un classico per comprendere la logica del valore e del cliente, con strumenti pratici.
- “L’arte dell’ascolto” di Marianella Sclavi (Bruno Mondadori). Un libro illuminante per sviluppare l’ascolto attivo come competenza strategica.
- “Neuromarketing” di Martin Lindstrom (Hoepli). Per capire come funziona davvero il processo decisionale delle persone.
- “This is Marketing” di Seth Godin. Il marketing parte sempre dall’empatia e dalla conoscenza profonda delle persone.
- “The Mom Test” di Rob Fitzpatrick. Come fare domande che generano risposte vere nelle interviste ai clienti.
- “Lean Customer Development” di Cindy Alvarez. Un metodo chiaro e replicabile per uscire dagli assunti e conoscere i tuoi utenti.

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Autore/i dell’articolo:

Maurizio Patitucci – BIO – Linkedin – Email
Business Analyst | Project Manager | Account Manager

Sara Tomasso – BIO – Linkedin – Email
Communication Consultant | Digital Branding Strategist